Nei vergognosi sotterranei della mente

Nei vergognosi sotterranei della mente
Nei vergognosi sotterranei della mente 5 1 Anonymous
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Jack Kerouac

In the Essentials of spontaneous prose Kerouac afferma: «Prima soddisfa te stesso, e poi al lettore non mancherà lo choc telepatico e la corrispondenza significante perché nella tua e nella sua mente operano le stesse leggi psicologiche».

Lo smarrimento che si prova approcciandosi per la prima volta ai romanzi di colui che è considerato il padre della beat generation, è riconducibile all’abbattimento di quelle grandi categorie e sovrastrutture che il più delle volte causano un’eccessiva semplificazione sia da un punto di vista produttivo che ricettivo dell’opera. Non che scompaiano nel romanzo di Kerouac, anzi, diventano oggetto di un doppio processo di decostruzione e distruzione, senza cui l’opera stessa non potrebbe esistere. Ovviamente, categorie e semplificazioni, che viaggiano parallelamente sul doppio binario del romanzo e della realtà.

Nucleo originario da cui derivano tutti i processi di decostruzione e distruzione, è la storia d’amore del protagonista de I sotterranei, Leo Percepied con Mardou Fox. Scrittore beat e sotterraneo il primo, negra di origini indiane la seconda. La funzione di Mardou è speculare rispetto a Leo, in lei e attraverso di lei tutte le astrazioni del giovane si frantumano scontrandosi con l’irrealtà della loro realtà. Tant’è che la scelta finale di Mardou di essere indipendente, lasciando Leo, come un cerchio, si ricongiunge a una delle immagine iniziali del racconto, al momento in cui la donna, narrando la sua storia, parla di un evento particolarmente significativo della sua vita, quando nuda, abbarbicata ad una staccionata, deve scegliere se rimanere all’interno o saltare fuori. La nudità e la staccionata sono il simbolo della volontà di Mardou di fuggire da tutte le astrazioni, le sovrastrutture, le ipocrisie in primis degli scrittori beat, e poi degli uomini bianchi della società americana.

Solitamente ci hanno abituato ai colpi di scena, a motivazioni piuttosto serie ed importanti rispetto alla fine di qualcosa, anzi esprimendoci col linguaggio keruacchiano, alla distruzione. Un motivo sufficientemente accettabile affinché tutte i pensieri confinati nei sotterranei della nostra mente possano rimanere nascosti perché l’impatto sul pubblico, se ci poniamo nella prospettiva di uno scrittore, o su gli altri in veste di semplici individui, potrebbe nel primo caso non soddisfare sufficientemente, e nell’altro provocherebbe in noi della vergogna, perché ammettere determinati pensieri, talvolta banali e non socialmente convenienti, metterebbe a rischio la nostra immagine pubblica. Il coraggio della vergogna, come lo chiama Kerouac ne I sotterranei, coraggio che lui ha sicuramente avuto, dichiarando prima di tutto il suo razzismo e poi dimostrando che per essere razzisti non bisogna solo evitare qualcuno, disprezzarlo apertamente rendendolo uno schiavo, confinandolo nelle tetre periferie delle grandi città, non rivolgendogli la parola, negandogli la cittadinanza o l’istruzione. Leo ama Mardou, o almeno crede, sta bene quando è insieme a lei che rappresenta l’essenza della vita ma non riesce a sottrarsi ai suoi preconcetti da bianco, disprezzandola l’attimo dopo averci fatto l’amore, per delle sciocchezze, senza motivo, come egli stesso ammette. Ad esempio prova ribrezzo, condannandola ad un cinico disprezzo, per i fili di cotone tra i capelli, le labbra troppo gonfie, l’umidità e il sudiciume del quartiere dove vive. Pensando con rammarico che potrebbe avere tutte le donne che vuole, sicuramente più belle di Mardou. Sente così il bisogno di abbandonarla e di tornare nella sua abituale condizione di ben- essere, vale a dire ciò che lo rende accettabile agli occhi della società e che lo fa sentire sicuro perché rispettoso delle sue regole come il lavoro, la casa pulita e in ordine; ben-essere che si contrappone, costituendo il bozzolo intorno a cui si avvolge l’intera matassa, allo stare bene rappresentato dalla ricerca e l’appropriazione dell’essenza che in questo caso è la donna, ma in generale è l’amore. Leo non mancherà occasione per dubitare di Mardou, della sua integrità, sempre combattuto tra il ben-essere e lo stare bene. Nei loro progetti di coppia, Leo colloca la sua vita insieme a Mardou in luoghi che neutralizzano le differenze, i preconcetti, le astrazioni, pianificando così, un giorno, di andare in Messico. Lì la loro felicità è realizzabile, è possibile contemplare una vita insieme ma se Leo sposta i suoi desideri nel sud degli USA, Mardou non è inclusa, perché non è da ben-essere condividere la propria vita con una donna di colore. Si veda, come anche nei sogni, queste sovrastrutture operino, rendendo la realtà ed il sogno, entrambi reali.

Dubbi, astrazioni, che condurranno Leo a costruire una grande scusa per poter lasciare Mardou, con la storia della gelosia, supportato da un sogno premonitore che gli fornisce un piano per arrivare alla conclusione di essere lasciato senza assumersi alcuna responsabilità. Come avrebbe potuto giustificare a Mardou la sua decisione, dicendole che talvolta provava ribrezzo per lei, che sentiva il bisogno di fuggire nel quartiere del ben-essere sfuggendo al grigiore di Heavenly Lane? Che motivazioni sarebbero state queste? Allora ha pensato bene di creare il colpo di scena con una causa di rottura socialmente accettabile e giustificata, la gelosia, quante volte ci si lascia per colpa della gelosia. Leo non ha avuto il coraggio o meglio non ha voluto dire apertamente a Mardou che non poteva stare con lei perché si vergognava, perché ciò avrebbe significato rinunciare al suo ben-essere ma soprattutto perché spesso anche lui era impaurito, come tutti gli altri, da questa donna e provava un senso di schifo nei suoi confronti. Il dolore di Leo, è il dolore di chi sa che non avrebbe potuto fare altrimenti ed è consapevole della debolezza delle sue motivazioni, che avrebbe voluto averne una molto più forte in cui essere vittima e non carnefice. Quante volte nella vita di tutti i gironi rifiutiamo qualcuno non per suo demerito ma perché non risponde alle norme del ben-essere, rischiando la nostra esclusione dalla società. E quante scuse presentiamo a noi stessi e agli altri ma mai oseremmo ammettere quei pensieri così banali e vergognosi. Allora costruiamo dei grandi pretesti, talvolta anche dalla nobile drammaticità, purché preservino la nostra immagine. Perché in fin dei conti, come sostiene Kerouac, la realtà non è riconducibile ad unico significato, esistono molteplici significati apparentemente secondari e sotterranei, che in molti casi costituiscono la base su cui realizzare la distruzione o la costruzione. Mardou non ha alcuna colpa, se non quella di essere nera. La giovane è molto più lucida di Leo e di tutti i sotterranei, consapevole della loro pericolosità, desiderosa di concludere qualcosa nella vita, di avere un unico uomo da amare, perché come dice Allen Ginsberg il dritto è il folle. Mardou non rientra nella categoria dei dritti, è, agli occhi della società del ben-essere, una pazza squinternata, da tenere alla larga, che si aggira per le strade nuda e si ferma ore in un negozio per scegliere un talismano. È nera e per questo pazza e delinquente. Ma la molteplicità dei significati, fa sì che ce ne sia uno tra di essi in cui è Mardou ad essere quella “normale”, con la testa ben piantata sulle spalle, che ha capito perfettamente i limiti di Leo e sanamente ha deciso di allontanarsi da lui.

Il coraggio di Kerouac risiede su altrettanti piani differenti, primo tra tutti nell’aver portato alla luce quei complessi e banali meccanismi mentali che governano i nostri rapporti con gli altri e poi nell’aver creato un romanzo che dà voce alla nostra mente, a ciò che avviene in essa, continuamente, attraverso la descrizione d’immagini lontane che s’incontrano in una connessione che non ha nulla di allucinatorio ma è pensiero e perciò linguaggio. Come l’accostamento della musica bop ed i fili dell’elettricità: «…la stessa viva insinuazione che proprio allo stesso modo in cui sua sorella aveva disposto quei fili attorti in un intrico greve di significati grevi d’intenzioni, all’aspetto innocenti ma dietro la maschera della banalità assolutamente intenzionali come un ghigno volgare e irridenti, elettrici serpi messi lì apposta a quel modo, quel significato che lei aveva sempre visto e sentito nella musica e che ora ritrova in quei fili.».

O ancora, quando Leo chiude gli occhi e vede parole, apparentemente prive di senso, ma che potrebbero un giorno comporre una nuova lingua, perché esistono. E quante volte ci capita di ascoltare musica e di scorgere in essa significati espressi dal suono, chiari come se in quel momento parlassero la nostra lingua. Infiniti suoni, infinite parole, infiniti significati, la lingua è al servizio della nostra mente nella sua infinita possibilità di espressione.

Grazie Kerouac! Ancora troppo visionario e folle per questa società perbenista dominata dal mediocre e pavido accademismo intrappolato nella tirannia di correnti, categorie, sovrastrutture, schematismi che taccia il dritto di essere un folle e il folle di essere un dritto.

Nei sotterranei delle dispense delle casalinghe americane degli anni Cinquanta 

Partendo da una confezione di fave in scatola, che Leo mangia una sera a casa dell’amico e sotterraneo Adam, ci siamo interrogate sulla cucina americana degli anni ’50. Attratte e affascinate soprattutto dalle immagini dell’epoca che ritraggono sorridenti casalinghe, sempre in ordine, in cucine tipiche di quegli anni con tavole dalle abbondanti e appetitose pietanze. N’è derivata la convinzione di una cucina in cui vigeva il principio del fare a mano, con ore ed ore di lavorazione, la cui fonte di rifornimento erano frigoriferi e dispense in cui trovavano spazio solo prodotti freschi, di giornata. Operando così, nella nostra mente, una distinzione tra la “salutista” e accogliente cucina delle casalinghe e la più veloce, tetra e meno nutriente cucina dei cibi in scatola, simbolo di una forte industrializzazione. L’idea originale era quindi di proporre un piatto tipico della tradizione culinaria americana, così come ce lo hanno tramandato le adorabili casalinghe degli anni cinquanta e un piatto a base di cibi in scatola, creando una distinzione non solo gastronomica ma anche sociale, convinte che si trattasse di due varianti frutto di differenti contesti socio-culturali. Con nostro grande stupore, dopo varie ricerche, abbiamo scoperto che le casalinghe degli anni ’50 utilizzavano i prodotti in scatola, per cui la nostra idea di una cucina diversificata è decaduta. Libri e rivisti dell’epoca testimoniano di una grande quantità di piatti cucinati con prodotti preconfezionati. D’altronde a chi non è mai capitato, almeno una volta, di ritrovarsi sotto il naso le raffigurazioni dei famosi barattoli Campbell, ultra nota industria conserviera americana, spesso soggetti delle opere di Warhol.

In realtà i cibi in scatola non sono un’invenzione a stelle e strisce, la loro origine è ancora più remota e si colloca in uno stato europeo, la Francia, allora impero napoleonico. Il pasticcere e chef Nicolas Appert partecipò al concorso indetto da Napoleone che prevedeva la vincita di 12.000 franchi per chi avesse scoperto una tecnica per combattere il deterioramento delle provviste alimentari dell’esercito. Nel 1795 Appert mise appunto una tecnica di sterilizzazione basata sulla bollitura dei prodotti, posti in contenitori di vetro sigillati con la pece, e poi nuovamente bolliti nell’acqua calda.

In Italia l’industria conserviera per antonomasia è la Cirio, nata negli anni ’60 del 1800, ad opera dell’imprenditore piemontese che esordì con la conservazione dei piselli.

20131121_195656_resizedRitornando ai piatti americani, la differenza riguarda la preparazione, se sei un beatnik ti accontenti di cibi fugaci e poco elaborati, come viene indicato nel romanzo. Infatti, i sotterranei non solo non hanno orari, mangiano se e quando capita, ma soprattutto fanno ricorso a tutte le tipologie di cibi veloci, tra cui anche il fast food. Le casalinghe invece abbelliscono i piatti, ci mettono più fantasia, creano insomma un procedimento, ma già all’epoca le americane non si facevano troppi scrupoli a risparmiarsi un po’ di fatica. Direttamente dalla tavola di Betty Crocker, simbolo della casalinga americana ma anche donna in carriera, nonché personaggio pubblicitario inventato dalla società General Mills, vi proponiamo i green beans casserole (fagiolini in casseruola), il broiled burger (hamburger arrostiti) in barbecue, una nuova tendenza dell’epoca proveniente dalla periferia, ed infine il purè di patate o mashed potatoes. E direttamente dal fast food l’immancabile cheesburger.

Insomma ecco cosa accade scavando nei sotterranei delle dispense delle casalinghe americane degli anni cinquanta!

2013-11-22 18.19.43_resizedBroiled Burger:            

-4 hamburger da 130gr. c.a.

-lattuga

-panna acida

Arrostire l’hamburger e servirlo su un letto di insalata condita con panna acida.

20131121_195730_resizedCheeseburger:

-4 hamburger da 130 gr. c.a

-panini al sesamo

-formaggio Cheddar o simile

 -bacon

-lattuga e pomodoro (facoltativi)

-chips (fresche o in busta)

In una padella far arrostire il bacon e gli hamburger senza aggiunta di olio; quando diventa croccante, togliere il bacon e mettere a scogliere nella stessa padella il formaggio Cheddar. Quando il formaggio comincia a sciogliersi, adagiarlo sull’ hamburger e a questo punto comporre il panino precedentemente tostato. Servirlo con le chips!!

Green bean casserole

20131121_184758_resizedIngredienti x 4 persone

-400gr di fagiolini (anche surgelati)

-300ml di crema ai funghi

-75gr di latte

                                                                 -80gr di anelli di cipolla fritti (anche surgelati)

Preriscaldare il forno a 180°; in una pirofila mischiare i fagiolini alla crema di funghi e al latte e infornare per 20-25 min. A fine cottura coprire i fagiolini con gli  anelli di cipolla e far cuocere per altri 5-10 minuti fino alla doratura delle cipolle.

 Mashed potato (purè di patate all’americana)

2013-11-22 18.28.33_resized Ingredienti x 4 persone

-400gr di patate  a pasta bianca

-200ml di panna da cucina

-70gr di burro c.a.

                                                                     -latte (facoltativo)

                                                                      -sale e pepe

Lavare le patate e metterle a bollire in acqua salata per 25min c.a., pelarle e schiacciarle. Trasferirle in una pentola dallo spessore doppio. Aggiungere la panna ed il burro  e mescolare a fiamma moderata. A seconda della consistenza che si preferisce, aggiungere il latte. Più latte corrisponde ad una maggiore cremosità del purè. Aggiustare di sale e pepe e servire con contorno di verdure e scaglie di Cheddar.

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