TUTTA COLPA DELLA VELOCITÀ

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Ilaria Goffredo

Ilaria Goffredo

Ogni racconto, romanzo, consta di una storia e di una narrazione. Il rapporto  tra la durata della storia e la lunghezza del racconto è un indicatore della costante di velocità e delle sue variazioni, note come anisocronie. Per velocità s’intende il rapporto tra una misura temporale (la durata della storia) in secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni e la lunghezza del testo misurata in righe e pagine. Per ogni unità narrativa sono dedicate un determinato numero di pagine e righe. Per tre ore, dice Genette, in riferimento alla Recherche di Proust, sono state dedicate centonovanta pagine; al contrario per dodici anni solo tre righe. Al di là delle cifre che richiamano più una relazione scientifica che un articolo di letteratura, la cifra espressiva del romanzo di Ilaria Goffredo, Tregua, si esprime in una somma di unità narrative la cui velocità varia, in un’alternanza tra lento e veloce che si risolve nell’evocativo titolo che implora una pausa non solo dalla seconda guerra mondiale, ma anche e soprattutto dal contrasto, nel cuore umano, tra l’orrore a cui la guerra costringe ad assistere e a subire e la necessità di amare ed essere amati che, un regime dittatoriale, rende difficile soddisfare. Le due grandi unità narrative del romanzo sono la guerra e la storia d’amore tra la protagonista Elisa, una giovane e ingenua ragazza di Martina Franca, nella provincia tarantina, ed Alec, un aitante soldato dell’esercito inglese. Il racconto esordisce con una prolessi, appartenente all’unità narrativa della guerra, che in due pagine descrive gli attimi subito precedenti alla morte di Antonio, fratello di Elisa, che tenta di fuggire dal campo di concentramento in cui è stato deportato qualche mese prima, come scopriremo più tardi. Dopodiché ha inizio una lunga analessi che si ricongiungerà con la prolessi iniziale verso la fine del romanzo che preannuncia inoltre un prosieguo trattandosi, a quanto pare, di una saga. Sebbene l’unità narrativa della guerra corrisponda ad una velocizzazione del racconto, vale a dire che in termini di rapporto spazio-tempo, le pagine dedicate alla guerra sono di meno di quelle che raccontano la storia d’amore, la struttura sintattica è molto simile in ambedue le unità con una forte predominanza paratattica. Sembra che in entrambi i casi la scrittrice voglia impressionare velocemente il lettore, evitando di aggiungere particolari, circostanze, riflessioni, che ne distoglierebbero l’attenzione. La punteggiatura, la sintassi, le scelte lessicali, risultano tutte molto appropriate e frutto di un lavoro di ricerca, in cui nulla è lasciato al caso ma tutto finalizzato ad una ricezione immediata. È un romanzo in cui, anche nelle unità narrative più lente, prevale sempre la velocità. La descrizione ed il dialogo sono altrettanto paratattici. Sparse qua e là, ritroviamo di tanto in tanto delle analessi ripetitive, che gonfiano la narrazione con un effetto ridondante. La stessa riduzione del romanzo, quasi interamente, ad un’unica analessi che riconduce ai mesi subito precedenti alla prolessi iniziale, senza nessuna digressione, rinvio a situazioni anteriori, ad eccezione di sporadiche analessi completive, rende il racconto  precipitoso. La sua fruizione è immediata, non lascia spazio ad interrogativi, dubbi, ipotesi, perché tutto è risolto nel giro di poco.

Non nego che la storia mi abbia appassionata, la Goffredi è molto brava a raccontare le emozioni, sono stata coinvolta dalle vicissitudini amorose dei due protagonisti, attratta dalle loro personalità, un po’ come mi accadeva quando ero una bambina e poi un’ adolescente: amavo le storie piene di sentimento, non arzigogolate, semplici, in cui a fare tutto è lo scrittore. Credo, però, che la Goffredi abbia delle importanti potenzialità e che, da un punto di vista tecnico, possa spingersi oltre, sfruttando quell’offerta così ampia che la narratologia e la lingua ci mettono a disposizione, senza aver paura di deludere il lettore perché intercettato quello giusto non potrebbe che apprezzare.

La guerra: un vuoto allo stomaco

Le analessi completive presenti nel romanzo evocano piatti che Elisa cucinava per la sua famiglia prima che il conflitto mondiale incombesse. Come i panitti, soffici pagnotte bianche, sostituiti poi dal pane nero, il solo che circolava durante il periodo di guerra; e proprio una situazione così complicata e difficile, risalta il potenziale creativo della cucina. Elisa, infatti, nonostante la modestia degli ingredienti a disposizione s’ingegna per creare delle pietanze che stuzzichino il palato, affinché la guerra non cancelli del tutto un piacere che rischia di ridursi ad un mero esercizio di sopravvivenza. Come il dolce ottenuto con il granturco e una specie di zucchero particolarmente duro, nel tentativo di riprodurre un dolce del periodo anteriore alla guerra: Forse dolce non era la parola appropriata, dato che non poteva essere paragonato alla leccornia di fichi secchi con le mandorle, ma in quel momento si trattava di una piacevole aggiunta alla nostra dieta[…].

20140522_175650_resizedTranne queste brevi parentesi che aprono di tanto in tanto uno squarcio sulla vita passata, prevale poi una cucina povera, fatta dei pochi ingredienti che la protagonista riesce a racimolare al mercato del paese, grazie alle famose tessere annonarie. È una dieta in cui prevalgono per lo più zuppe di legumi, cicoria, patate, arrangiate alla bell’e meglio e servite in razioni molto limitate. Al massimo, quando i legumi non diventavano zuppe o purea, come quella di fave, erano mischiati alla pasta, ad esempio la pasta e lenticchie. C’erano giorni in cui neanche la pasta era possibile acquistare, allora con il pane raffermo si preparava l’acquasèle insaporito in una ciotola con acqua, origano, sale e olio. Per chi lavorava nei campi, i pasti si riducevano ulteriormente, limitandosi a qualche verdura fredda, o alla minestra, u’mestre nel dialetto locale. Solo nel periodo della mietitura, la massaia serviva la ricotta forte accompagnata dal vino versato in un unico cecenete, un contenitore in terracotta dalla bocca stretta.

Senza dimenticare tutti i cibi che Elisa mangerà di nascosto da suo padre grazie ad Alec che si rifornisce al mercato nero.

Insomma la guerra non toglie la fame, anzi l’acuisce, dolorosamente, è il grido disperato di un’umanità che chiede solo di vivere.

Minestra di pasta e lenticchie

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Ingredienti

-150 gr di lenticchie precedentemente tenute in ammollo
-300 gr di pasta mischiata
-sedano
-carota
-cipolla
-pomodoro
-olio evo
-sale q.b
-parmigiano

Procedimento

In una pentola lessare le lenticchie; a parte, in una padella, far rosolare il misto di carote, cipolle e sedano, aggiungere il pomodoro e lasciar cuocere. Poi unire le lenticchie e lasciar insaporire; dopodiché, allungare con dell’acqua calda, portare a bollore e aggiungere la pasta, lasciar cuocere a seconda dei tempi di cottura previsti per la pasta, una volta cotta spegnere il fuoco, aggiungere un filo di olio evo a crudo e una spolverata di formaggio, far riposare per un paio di minuti e servire.

Acquasèle

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Ingredienti

-Pane raffermo
-pomodori
-sale
-olio evo
-origano

Procedimento

Bagnare leggermente il pane con l’acqua tiepida, mettere nel piatto e strofinare con i pomodori, aggiungere il sale, un filo di olio e l’origano.

Purè di fave

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Ingredienti

-400 gr di fave sgusciate
-600 gr di acqua
– 1cipolla
-1 patata

Procedimento

Sgusciare le fave, privarle della pellicina e metterle in acqua fredda insieme alla patata e alla cipolla, coprire e lasciare cuocere fino a quando le fave non si sfaldano. Servire con le scarole o la bietola lesse e un filo di olio.

Pane nero

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Ingredienti

-500gr di farina per pane nero
-300gr di acqua tiepida
-25gr di lievito di birra
-un cucchiaio di olio evo
-sale

Procedimento

Versare la farina su di un tavolo da lavoro, fare un buco in mezzo e versarel’acqua con il lievito e un cucchiaino di zucchero. Lavorare l’impasto e aggiungere poi l’olio e il sale, continuare a lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e uniforme. Far riposare l’impasto per 15 minuti e poi farlo lievitare per 3 ore circa. Trascorse le tre ore, prendere l’impasto e dividerlo in duo o più panetti, lasciare riposare per altri 30 minuti circa e infine infornare per 30/40 minuti a 200º.

Quando è cotto, sfornare il pane, farlo raffreddare e poi tagliare due o più  fette su cui spalmare la ricotta forte.

 

 

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