Sacra è la terra, madre e padrona

Sacra è la terra, madre e padrona
Sacra è la terra, madre e padrona 5 1 Anonymous

cesare pavese

In un periodo in cui la campagna sta ritornando di moda, scoprendo un’inaspettata valorizzazione nonché un’immagine del tutto rinnovata, lontana anni luce dalla tradizionale visione di un mondo duro e ignorante, attraverso un rilancio come ritrovata e preziosa fonte di lavoro e guadagno, il confronto tra l’arcaico mondo rurale e la postmoderna rappresentazione bucolica risulta davvero interessante, quasi divertente. Chissà se i moderni contadini o aspiranti tali conoscono e credono alla luna, ai santi e se sono disposti a rispettare riti severissimi, pervasi di una profonda e profana religiosità. E già, come spiega William Christian in Santi vicini, la religione locale nella Spagna del XVI secolo, vi erano due forme di religiosità ai tempi: quella della chiesa universale fondata sui sacramenti, la liturgia e il calendario romano, e quella locale fatta di propri luoghi, credenze, immagini, santi e reliquie. Quest’ultima associata soprattutto al mondo rurale. In Spagna, come in altre parti dell’Europa, alcuni letterati cominciarono a mettere in dubbio certe tradizioni della Chiesa e diversi provvedimenti furono attuati per arginare la promiscuità tra sacro e profano. Ci fu inoltre un forte ridimensionamento delle feste votive, il popolo aveva stabilito un calendario parallelo a quello previsto dalla Chiesa di Roma. Naturalmente la Chiesa fallì nel suo intento perché pur potendo imporre ai fedeli l’osservanza di una festività, non era in condizioni di impedire la celebrazione di un’altra.

I contadini nonostante si professino monoteisti, adorino un solo Padre, devono dare conto ad un’altra madre meno astratta e più concreta da cui dipende la propria sopravvivenza, la terra. Non essendo sempre possibile evitare siccità, invasioni di vermi o insetti, grandini, malattie, con la sola forza delle proprie mani, ci si rivolge ai santi e alla luna i quali, anche se non dichiaratamente, riacquistano il titolo di Dei. Il venti gennaio ricorre l’anniversario della morte di San Sebastiano, flagellato per ordine di Diocleziano, così il venti di ogni mese non si pianta, altrimenti andrebbe tutto a male. Quando la luna è calante, si scavano le patate, per tutto il resto delle attività è preferibile sfruttare i giorni di luna ponente. Le feste patronali, che celebrano Santi e Madonne, vanno omaggiate, allora ci si può congedare dalla terra, concedersi qualche vizio, in nome di un fine nobile e necessario: salvaguardare i frutti che la terra partorirà dall’ira dei santi. È possibile fare delle previsioni meteorologiche per i mesi che verranno grazie alle calende. Queste cominciano il tredici dicembre, giorno di Santa Lucia, e terminano con l’epifania. Dal tredici al ventisei dicembre, se ho fatto bene i calcoli, ad ogni giorno corrisponde la prima quindicina di un mese dell’anno che verrà; dal ventisei il conto è alla rovescia, da dicembre a gennaio, e ogni giorno corrisponde alla seconda quindicina del mese. In base alle condizioni meteorologiche di questi ventiquattro giorni, è possibile prevedere l’andamento delle stagioni. Quando Anguilla, protagonista del romanzo di Cesare Pavese La luna e i falò (1950), torna nelle Langhe e incontra il suo vecchio amico Nuto, quest’ultimo non potrà fare a meno di celebrare gli effetti benefici dei falò accesi in prossimità delle terre coltivate e di mettere in guardia l’amico a non sfidare la luna quando è piena, altrimenti le piante verrebbero infestate dai vermi. Anguilla però dopo un lungo periodo trascorso all’estero, non crede più a queste storie, qualcosa di quel mondo che aveva conosciuto durante la sua fanciullezza è stato intaccato. Ricorda però il lavoro duro e massacrante scandito dal ritmo dei giorni e delle stagioni, quando credeva che nella vita esistessero solo la vendemmia, la trebbiatura, l’acquisto dei buoi, l’uva, le feste di paese, la raccolta della legna.

La campagna non è solo terra, alberi, piante, semi, vendemmie e trebbiature, essa rappresenta un universo parallelo che prevede una ferrea disciplina fatta di pesanti orari di lavoro, considerevole sforzo fisico, riti da rispettare e feste da celebrare. La sua sopravvivenza dipende dalle condizioni meteorologiche e climatiche, in un rapporto di stretta e costretta dipendenza dalla natura. La terra non si adegua all’uomo, è l’uomo che deve adeguarsi ad essa, catalizzando totalmente l’attenzione su stessa, fino a renderlo schiavo dei suoi bisogni. L’uva non può aspettare di essere vendemmiata, le olive e il grano di essere raccolti, gli alberi potati, le piante coltivate. Ma la terra egoista e generosa allo stesso tempo, quello che toglie restituisce, se il contadino ne ha però rispettato i tempi e le necessità. E le stagioni, di cui dice Anguilla era fatta la sua vita, ai tempi di Gaminella e della Mora, vedono il loro tempo esclusivamente dedito alla campagna, al punto tale che la scansione del tempo stesso è dettata dai ritmi e dagli eventi della terra. Non esistono giornate, mesi, stagioni che vedano il tempo protagonista di esperienze differenti, così i rapporti umani si diradano o scompaiono del tutto. L’unico rapporto è quello con la terra che ordina, bisognosa di cure e attenzioni, svuotando di ogni energia, fisica e umana, ostruendo tutti i canali d’irrorazione affettiva e emozionale. Il rispetto riservato alla terra si trasforma così in ira da riversare implacabilmente sui propri simili, è come se la terra da un lato e gli uomini dall’altro invertissero i propri ruoli nella scala dei valori umani. Solo la terra dà, i tuoi simili danno senza ricevere mai, se non umiliazioni e ricompense insignificanti. Oppure esigono e danno ordini. Così in un vizioso circolo umano in cui le donne per inferiorità fisica inevitabilmente soccombono, le frustrazioni, le insoddisfazioni, le paure, si tramutano in azioni d’inaudita violenza su chi come te dà solo, in un rapporto di esclusività con la terra, e non riceve mai perché tu sei allo stesso tempo colui/colei che dà e non dà. E così, quando si vedrà defraudato del suo raccolto, l’escalation di violenza da parte del Valino contro la sua famiglia, culminerà in un omicidio da cui solo Cinto si salverà. Se la prenderà con chi come lui ha dato alla terra e al suo padrone, in un perverso rapporto di odio verso il proprio simile e di privilegio dell’opposto, vale a dire il carnefice.

«Da solo ero tornato su quella strada e pensavo alla vita che poteva aver fatto il Valino in tanti anni- sessanta, forse nemmeno-che lavorava da mezzadro. Da quante case era uscito, da quante terre, dopo averci dormito, mangiato, zappato col sole e col freddo, caricando i mobili su un carretto non suo, per delle strade dove non sarebbe ripassato […] Dalla Valle del Belbo non era mai uscito. Senza volerlo mi fermai sul sentiero pensando che , se vent’anni prima non fossi scappato, quello era pure il mio destino».

La campagna rappresenta un mondo a se stante, piuttosto complesso, contrariamente a quanto si pensa, fatto di leggi morali e religiose proprie, di un insieme di credenze che sebbene sappiano di mito rientrano in quella ritualità che scandisce il tempo, totalmente assoggettato ad essa. Per entrarci non basta acquistare un fazzoletto di terra e seminare qualche pianta qua e là, bisogna imparare a guardarla con gli occhi di chi ha consacrato la sua vita ad essa. Come gli occhi di nostra nonna, che ci ha fornito informazioni preziose e soprattutto ha rilasciato una testimonianza diretta dei grandi sacrifici e umiliazioni che una vita spesa nella terra ha dovuto sopportare. Aggiungo però che quando mi parla del suo lavoro uno sguardo orgoglioso e felice illumina i suoi occhi.

POVERI MA BUONI

Parlando della Luna e i falò e della vita rurale in generale, non potevamo trascurare il piatto che ha salvato dalla fame tanti poveri contadini non solo nel Nord dell’Italia ma anche qui da noi al Sud, la polenta. Si tratta di una pietanza ricorrente nel romanzo di Pavese, fin dalla prima pagina, quando Anguilla ricordando della sua infanzia con Padrino presso il casotto di Gaminella, racconta delle volte in cui andava a rubare la polenta. Se da un lato questo cibo ha rappresentato un antidoto contro la penuria alimentare, dall’altro la sua povertà nutritiva è stata causa di malattie come la pellagra, nonché dell’handicap di Cinto, zoppo e rachitico e della morte di sua madre, Mentina.

Da noi è nota come farinata e la nonna che ancora oggi la prepara, ricorda come un tempo fosse il cibo mangiato in inverno, per combattere il freddo, oltre che la fame. Con la farina di mais, molto economica, si preparava inoltre il pane parruozzo, cotto al forno su foglie di castagno. Nel periodo in cui si ammazzavano i maiali, insieme al salame e ad un buon bicchiere di vino, costituivano il pasto principale quando fuori c’era la neve.  Attualmente la polenta è un piatto che ha acquistato un certo pregio, caratterizzato da una grande versatilità, vantando versioni dolci e salate. Marianna, per l’occasione, ha preparato la farinata tradizionale e una versione più fresca, una sorta di insalata ottenuta con la polenta raffreddata e fatta a tocchetti, più consona alla stagione.

Come dolce proponiamo le pesche ripiene tratte sempre dal ricco repertorio culinario dell’opera di Pavese, nonostante molti piatti nelle edizioni ufficiali dei romanzi non compaiono. Si dice che Pavese fosse un autore amante della sintesi e eliminasse numerose parti al momento della rilettura prima della consegna, tra queste, i manoscritti originali rivelano tipicità della cucina piemontese. Per quanto riguarda le nostre pesche, ne La luna e i falò spesso gli alberi di pesche sono citati; frutto simbolo dell’estate, ne segna l’arrivo, secondo quella scansione temporale dettata dalla natura.

FARINATA (POLENTA)CON FAGIOLI:

farinata con fagioli

farinata con fagioli

-350 gr di farina di mais

-150 gr di fagioli cannellini

-1 cipolla media

-1 litro e mezzo di acqua

-un pizzico di peperoncino

-olio evo

-sale

Procedimento:

In una pentola capiente mettere la cipolla tritata con abbondante olio, far soffriggere a fuoco medio fino a quando la cipolla non si sarà appassita, a questo punto aggiungere un pizzico di peperoncino e allungare con il litro e mezzo d’acqua.

Quando l’acqua sta per bollire, versare a pioggia la farina, abbassare la fiamma e mescolare con una cucchiaia di legno, girando sempre nello stesso verso.

Quando la farina comincia a compattarsi, dopo qualche minuto, aggiungere i fagioli precedentemente lessati.

Quando la farinata avrà raggiunto la cottura comincerà a staccarsi dai bordi della pentola.

A questo punto, continuando sempre a mescolare, versare la farinata in una capiente ciotola di ceramica o su di una spianatoia di legno.

La farinata è pronta e si può gustare in vari modi, semplice, servendola in un coccio di terracotta oppure condita con un saporito sughetto e del parmigiano.

Inoltre il giorno dopo può essere servita fredda o riscaldata.

FARINATA AI FAGIOLI CANNELLINI IN INSALATA:

farinata in insalata

farinata in insalata

-350 gr di farina di mais

-1 litro e mezzo di acqua

-olio evo

-150gr di fagioli cannellini

– pomodorini pachino

– a scelta cetrioli o zucchine o qualsiasi verdura di stagione

-sale

-origano

PROCEDIMENTO:

Per la preparazione della polenta seguire la procedura classica, quindi senza l’aggiunta del soffritto.

Nel frattempo preparare tutte le verdure con le quali si vuole condire l’insalata.

Quando la farinata si sarà raffreddata, tagliarla a cubetti e passarla per qualche minuto in una padella senza aggiungere olio.

A questo punto la farinata è pronta per essere messa in una ciotola e condita con le verdure, l’olio, il sale e una spolverata di origano.

PARRUOZZO:

parruozzo

parruozzo

Per realizzare il parruozzo ho utilizzato il lievitino, vale a dire un pre-impasto, ottenuto con acqua , farina e pochissimo lievito,  ma può essere utilizzato anche  il lievito normale.

Per il lievitino:

-100 gr di farina di frumento

-15 gr di lievito di birra (3 se utilizzate quello disidratato)

-100 gr di acqua

-zucchero

Per l’impasto:

-400 gr di farina di mais

-100 gr di farina di frumento

-olio q.b.

-sale

Procedura con il bimby:

Preparare prima di tutto il lievitino versando nel boccale l’acqua :37°, 2 minuti, vel.1

Aggiungere il lievito: 30 sec. vel 2

Aggiungere la farina con lo zucchero: 30 sec. vel. 2.

Lasciar riposare l’impasto per almeno 30 minuti.

Una volta pronto il lievitino, lasciarlo all’interno del boccale e aggiungere la farina con l’acqua: 2 min. vel. Spiga.

Aggiungere l’olio e il sale e continuare ad impastare: 8 min vel. Spiga.

Togliere l’impasto dal boccale e trasferirlo in una ciotola unta d’olio.

Lasciar riposare l’impasto per almeno due ore e mezzo.

Terminata la lievitazione, spostare l’impasto su una teglia, con il coltello fare una croce sull’impasto e lasciarlo riposare per un’altra mezz’ora.

Infornare a 225° per 50 minuti.

Una volta sfornato, adagiarlo su un tagliere coprendolo con un canovaccio di cotone e lasciarlo raffreddare.

 

Procedura a mano

Versare l’acqua tiepida in una ciotola capiente e sciogliere il lievito, aggiungere la farina con lo zucchero e mescolare fino ad ottenere un composto omogeneo, coprire e lasciare lievitare per mezz’ora c.ca.

Una volta pronto il lievitino, unire la farina con l’acqua e cominciare a mescolare, successivamente aggiungere un po’ d’olio e solo alla fine il sale.

Trasferire l’impasto su un piano da lavoro impastando fino a quando l’impasto non risulta asciutto. Se risulta troppo umido, aggiungere la farina.

Riporre l’impasto in una ciotola oleata, coprire con della pellicola e lasciar riposare per circa due ore e mezzo.

Anche in questo caso, quando l’impasto sarà lievitato, trasferirlo su una teglia incidendo una croce sulla superficie. Lasciarlo riposare per una altra mezz’ora  e infine infornarlo come sopra.

PESCHE RIPIENE

pesche ripiene

pesche ripiene

6 pesche gialle grandi

2 tuorli d’uovo

6 amaretti grandi

1 hg di frollini

3 cucchiai di cacao amaro

1 cucchiaio di cioccolato in polvere dolce

2 cucchiai di rum

2 cucchiai di marsala

1 cucchiaio di cognac

Burro

Zucchero

Prendere le pesche che siano mature ma non molli e che si stacchino bene dall’osso. Dividerle in due, togliere l’osso e scavare ogni metà togliendo un cucchiaio di polpa che va messa da parte. Frantumare finemente gli amaretti e i frollini e metteteli in una terrina con la polpa delle pesche, i tuorli d’uovo sbattuti con lo zucchero, il cacao, il cioccolato e i liquori. Mescolare bene e regolare di zucchero. Mettere il ripieno nelle pesche scavate, quindi adagiarle in una pirofila imburrata e infornare a 200°per mezz’ora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.