Il quarto e il quinto potere

Il quarto e il quinto potere
Il quarto e il quinto potere 5 1 Anonymous
Anna Maria Ortese

Anna Maria Ortese

Opera fantastica, al limite dell’esoterico, popolata d’immagini fiabesche, pullulante di leggendari racconti popolari; a tratti orrida, con una suspense tipica di un giallo che non sembra mai giungere alla verità, eppure indiscutibilmente vera, indagatrice dei profondi abissi dell’essere umano e delle superficiali apparenze dell’umanità. Il Cardillo addolorato di Anna Maria Ortese è insieme una denuncia della falsità del reale ed un’ esaltazione del vero. La diceria, il cosiddetto pettegolezzo e lo sbirciare, inteso come morbosa ossessione di spiare la vita degli altri, sono le astratte colonne portanti di un romanzo in cui le vicende dei diversi personaggi, in particolare Elmina, cambiano di volta in volta, a seconda di chi guarda e parla. Dal momento in cui il principe Neville insieme ai suoi amici, il mercante Nodier e l’artista squattrinato Dupré, giunge a Napoli dalla fredda Liegi, la sua vita sarà interamente assorbita dal tentativo di rivelare il mistero che avvolge la bellissima figura di Elmina Civile. Le strade per raggiungere la verità passano tutte per un raccordo anulare di chiacchiere che raccontano fatti non provati, tra di loro simili, ma mai uguali, portatori ciascuno di dettagli che modulano di volta in volta la visione del principe nei riguardi della donna, di cui è da sempre innamorato. La vita del principe si districa tra pseudo interrogatori a persone che la conoscono e visite al suo amico negromante, il Duca Ruskaja, che gli permette di assistere direttamente alle vicende che la coinvolgono, spiando da una lente magica; in un estenuante e folle vortice d’informazioni che occupa le sue giornate fino a non distinguere più tra realtà e sogno. Una vita fatta di sbirciate e pettegolezzi, che testimoniano il piacere atavico degli uomini di mettere sotto la propria lente d’ingrandimento i fatti degli altri, fino a distorcere la realtà, attraverso un uso sfrenato ed incontrollato dell’immaginazione. Non posso fare a meno di pensare a tutte le volte in cui, seduti intorno ad un tavolo, sorseggiando un caffè o consumando un appetitoso pasto, raddoppiamo il piacere che già ci delizia, raccontando fatti che arricchiamo con particolari, puro frutto della fantasia; perché se ci attenessimo alla realtà, significherebbe prima di tutto concludere troppo in fretta il momento dell’inciucio e inoltre ridimensionare il piacere che si prova nel trasfigurare l’immagine di qualcuno. Il momento, di solito, è annunciato da vari accorgimenti; il tono della voce che si abbassa, i preliminari (come ci divertiamo a raccontare tutte le circostanze che hanno preceduto il fatto), la finta discrezione che si manifesta attraverso espressioni che dovrebbero servire a spogliarci di ogni responsabilità, e la critica, che si cela sempre dietro una non volontà di ficcare il naso in fatti che non ci riguardano. All’ improvviso persone che non conosciamo molto bene, diventano familiari, trasformandosi in personaggi molto più reali delle persone esistenti fisicamente. E a seconda delle azioni che la voce del popolo decide di attribuirgli, assumono un determinato ruolo, quello del protagonista buono o dell’antagonista, dell’aiutante, del complice, in un crescendo diegetico che conferma di volta in volta la malleabilità del finale che può così essere cambiato. Ma come c’insegna un proverbio, il troppo storpia e il piacere di qualcuno può diventare il dispiacere di qualcun altro. La dissonanza tra il mutismo e l’isolamento di Elmina che aprono il romanzo e la fama di cui gode, insieme a tutta la sua famiglia, da decenni, si manifesta subito e sarà il fulcro intorno al quale ruoterà l’intera vicenda che porrà il lettore nell’ incertezza sulla vera natura di Elmina, che solo alla fine si risolverà nella rivelazione di una donna profondamente umana, meno complessa di quanto sia stata prospettata sin dall’ inizio, che destina tutto il suo amore ad un bimbo muto, a cui non è legata da alcun vincolo familiare, che talvolta si trasforma in un uccello che sa solo cantare. Elmina trascorre una vita nel non detto, tenendo per se i suoi veri sentimenti, che le costano la trasfigurazione della sua immagine, (quella che il lettore conosce per buona parte del romanzo non è la vera Elmina) e la dura condanna da parte del popolo e del lettore, ancora una volta.  Ogni comunità ha il suo cardillo, simbolo dell’enigma, vale a dire di ciò che non viene rivelato all’esterno, che non vuole essere condiviso, il cui cinguettio non è il tweet di un social network, ma la voce del silenzio che subisce il corso di un fiume verbale in piena, fino ad annegarlo. Oggi la smania di sbirciare nelle cose degli altri è soddisfatta dai social network e da alcune trasmissioni televisive che pongono al centro i fatti privati di persone che accettano di essere spiate attraverso un’altra lente, quella della telecamera che, come la lente del Duca Ruskaja, rappresenta il terzo occhio dell’uomo.

E se provassimo per un attimo a spegnere la tv, facebook, Instagram e ascoltassimo solo il canto del cardillo?

 

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